Ciao a tutti/e 👋
È trascorso un po’ di tempo dall’ultima volta.
Grazie a chi si è unito nel corso dei mesi estivi. Questa è una newsletter di riflessioni e piccoli essay personali a cadenza sporadica. Non vendo servizi e non ho sempre cose interessanti da dire, quindi a volte sto semplicemente zitta e sparisco per un po’. Altre, come in questo caso, mi fa piacere condividere qualcosa che ho scritto su un’altra piattaforma. Quello che segue è un articolo pubblicato su Quants Magazine su mostre immersive, experience economy e rapporto tra consumo e intimità.
Qui trovate un estratto, se vi piace potete continuare a leggerlo cliccando il bottone sotto il pezzo. Si chiude con un po’ di link e segnalazioni.
A presto!
Chiunque abbia mai varcato la soglia di una cattedrale gotica porterà con sé il ricordo indelebile delle maestose vetrate che sovrastano gli interni e che permettono alla luce di diffondersi attraverso le loro superfici colorate, bagnando la chiesa di un prisma cangiante di sfumature suggestive. A distanza di secoli dalla loro creazione, le vetrate policrome infondono ancora un magnetismo quasi ultraterreno in chi si ritrovi inondato dai loro riverberi variopinti, testimoniando una delle più antiche forme di manipolazione della luce mirata a trasfigurare lo spazio in una narrazione visiva che confina con il surreale. Da questo punto di vista, le vetrate policrome sono considerate una delle prime forme di esperienza immersiva nella storia dell’arte.
Oggi, immersività è soprattutto sinonimo di realtà virtuale, di visori e di metaverso, di intrattenimento tematico e di mostre interattive che celebrano i più grandi artisti del passato con esposizioni-evento che raccolgono migliaia di visitatori in tutto il mondo: “Inside Monet”, “Dalì Cybernetics” e poi le “Immersive Experience” di Frida Kahlo, Klimt e, ovviamente, Van Gogh. I percorsi espositivi propongono sempre lo stesso tipo di esperienza: c’è la “stanza immersiva” in cui ammirare le opere proiettate a 360° animate da luci e suoni, l’itinerario di realtà virtuale che permette di “visitare” le ambientazioni dei quadri più iconici e poi attività esclusive come corsi di yoga tra le proiezioni, laboratori di disegno e momenti di pedagogia interattiva. Fuori dai musei, vengono proposti tour immersivi per rivivere gli eventi leggendari che hanno segnato la storia di una città, oppure spettacoli 3D nei centri commerciali, nei ristoranti e in sale evento pop-up per risvegliare “il sognatore che è in noi” grazie ad animazioni ed effetti speciali che valorizzano i nostri pasti, la ricerca di un nuovo paio di pantaloni o un semplice momento di svago. Se nelle chiese gotiche la costruzione di ambienti immersivi poteva essere considerata come uno strumento per rinvigorire la devozione dei fedeli, infondendo loro un senso di timore reverenziale nei confronti del divino, oggi è il principale mezzo attraverso cui rianimare i consumatori dimostrando loro che il capitalismo immateriale ha ancora tanto da dare. L’utilizzo dell’immersività nelle esperienze contemporanee di massa testimonia una nuova forma di rapporto spirituale con il consumo, un particolare tipo di relazione che sfrutta la tecnologia per costruire intimità, abbattere i confini sensoriali, ispirare stupore e generare infinite esperienze individuali.
L’allusione al sentimento religioso non è casuale. In un’intervista rilasciata al New Yorker, Marc Glimcher, amministratore delegato di un’azienda produttrice di esperienze immersive, ha spiegato come uno dei principali elementi alla base del successo di questa nuova forma di intrattenimento sia proprio la “fame di trascendenza” del pubblico urbano a cui questi eventi si rivolgono. Le metropoli sono sempre più inospitali e inquinate, le chiese hanno perso il loro ruolo sociale, le persone non ricordano più la magia di un tramonto nella natura: le esperienze immersive si presentano come una forma di terapia per curare il progressivo senso di insoddisfazione nei confronti della realtà, l’evasione perfetta dall’ambiente cittadino e un efficace strumento per rivitalizzare il nostro bisogno di stupore.
In inglese, questo sentimento di incanto e reverenza si traduce nel verbo “awe”, un termine che ha recentemente guadagnato terreno tra le tendenze di marketing per aziende che mirano a “reincantare” il proprio pubblico, sfruttando l’induzione di un senso di disorientamento e meraviglia per costruire un rapporto più intimo con il consumatore. È in questo contesto che le tecnologie di realtà virtuale svelano il loro vero potenziale. L’esperienza immersiva che esse generano annulla ogni distanza fisica tra lo spettatore e lo spazio (o l’opera), attivando la risposta dei neuroni specchio e la sensazione di una completa immedesimazione nella simulazione che si sta vivendo. Come spiega la critica e curatrice d’arte Chiara Canali nel suo saggio Tecno-socialità. Partecipazione e interattività nell’arte contemporanea (postmedia books, 2019), le videoinstallazioni producono uno «choc percettivo che mette lo spettatore nelle condizioni di essere coinvolto emotivamente». Leggendo il compendio di Canali sulla nascita e lo sviluppo delle prime forme d’arte virtuale, non è difficile osservare come l’industria dell’intrattenimento abbia assimilato le istanze delle avanguardie elettroniche finendo per sfruttarle per i propri scopi: l’idea di opera d’arte come evento, la fine del dominio audiovisivo attraverso la multisensorialità, la partecipazione attiva degli utenti e la contaminazione delle pratiche e dei supporti. L’installazione interattiva “The Legible City”, realizzata da Jeffrey Shaw tra il 1989 e il 1991, è un ottimo esempio di questo processo di appropriazione. L’opera si presentava come una cyclette su cui era installato un piccolo schermo, grazie al quale il partecipante poteva pedalare ed esplorare contemporaneamente le ricostruzioni digitali di città come New York o Amsterdam. Oggi, lo stesso tipo di esperienza viene proposta dal colosso di attrezzature per lo sport Technogym attraverso i suoi tapis roulant di ultima generazione. Si tratta solo di un piccolo esempio, ma se ne potrebbero citare diversi: le video-ambientazioni di Studio Azzurro, con le loro immagini interattive proiettate direttamente sulle superifici degli spazi espositivi o sugli oggetti di scena, le installazioni oniriche e polisensoriali di Pipilotti Rist, gli “environment” interattivi di Piero Gilardi.
Una notizia molto importante: è uscito Gli straordinari di Edoardo Vitale, un romanzo che ho avuto la fortuna di veder prendere forma nel corso del tempo e a cui voglio molto bene. Sono di parte e faccio fatica a parlarne senza emozionarmi, per questo vi dico solo che è un libro bellissimo e importante e che dovreste leggerlo. Lo trovate in libreria e qui. Ecco le date delle prime presentazioni: 23/09 @ Libreria Spazio Sette (RM) ore 18.30 con Veronica Raimo, 25/09 @ Libreria del Golem (TO) ore 18 con Gabriella Dal Lago, 27/09 @ Libreria Verso (MI) ore 19 con Irene Graziosi. Se siete in giro venite ad ascoltare Edo e farmi un saluto :)
Questa estate è uscito Geografia delle aree interne. Discorsi e pratiche turistiche nella Sicilia fredda di Francesca Sabatini, geografa e una scrittrice bravissima. Dentro trovate riflessioni preziose su territorio e turismo. Potete acquistarlo qui.
Bellissimo pezzo pubblicato su Mold sulla storia delle sculture di burro. Solo per farvi un’idea:
Dopo i reading party, un altro articolo che verbalizza un sogno che coltivo da sempre: organizzare cori.
«Trying to mark life moments or maintain a photographic diary in the midst of such rampant commodification is, at this point, almost an act of resistance. Yet the twenty-image dump is also supplying exactly what Instagram, as a platform, needs more of: high-engagement, high-volume content». Kyle Chayka sugli Instagram dump.
Nel caso in cui non fosse chiaro, il turismo sostenibile non esiste. Un articolo di Lucia Tozzi.
Un pezzo molto bello di
sul modo in cui viviamo sommersi da abbonamenti e box a domicilio.Il mondo dell’editoria sta cercando di risparmiare soldi ed emissioni pubblicando libri più sottili.
A quanto pare, TikTok è ufficialmente il principale mezzo d’informazione dei più giovani, Instagram è il nuovo Tinder e gli influencer si sono rifugiati tutti su LinkedIn. Insomma niente di nuovo.
Infine qualche settimana fa Sleeve magazine mi ha intervistata sui bei vecchi tempi del primo internet:
Ci sentiamo presto!
Adesso voglio anche io organizzare uno hootenanny. Articolo interessantissimo (come tutta questa newsletter, sempre). Leggendolo pensavo alle amiche di Pane e Guerra, un coro femminile che canta canzoni partigiane. Alle nostre manifestazioni sempre meno cantate e sempre più arrabbiate. A Bella Ciao che forse resiste come unica canzone a cui tutti in qualunque momento possono unirsi, tutte le volte che viene cantata. Che bella storia, grazie.
sento che da questa storia delle sculture di burro non riuscirò a uscirne facilmente.