Qualche settimana fa ho pubblicato una storia sul mio profilo Instagram in cui chiedevo alle persone di inviarmi uno screenshot della propria sezione Discovery. Nel giro di pochi minuti la casella di posta ha iniziato a riempirsi di fermoimmagine colorati, un dato che mi ha entusiasmata soprattutto dopo aver scoperto che su Instagram in realtà non esiste nessuna sezione Discovery, al massimo una pagina Explore. Il fatto che nessuno si sia accorto del mio errore di denominazione la dice lunga su due cose: la prima è che ho dei follower molto poco pignoli (grazie), la seconda è che, almeno fino a poco tempo fa, nessuno ha mai prestato particolare attenzione a quell’angolo di Instagram nascosto tra il bottone per accedere al feed e quello per vedere i reel, figurarsi ricordare se il suo nome esatto è Explore o Discovery.
Leggendo online, mi viene ricordato che la pagina Explore è stata introdotta per la prima volta su Instagram nel 2012 e che, a partire da quell’anno, ha cambiato il suo scopo più velocemente di qualsiasi altra funzionalità presente nell’app, passando dal rappresentare la sezione dove trovare foto scattate “vicino a te” a un contenitore di luoghi e persone “trending” da seguire.
Oggi, con la sua griglia di interessi e ispirazioni selezionate accuratamente dall’algoritmo, Explore rappresenta il punto di arrivo di un lungo percorso che ha portato Instagram a trasformare la propria ragion d’essere: non più l’epicentro del voyeurismo online, ma un motore di ricerca dove trovare immagini e grafiche belle, life hack, intrattenimento e prodotti, il tutto impacchettato nei formati più in voga del momento, reel in pole position.
Il motivo per cui mi interessa la pagina Explore deriva da due considerazioni: la prima è di carattere puramente personale e riguarda il momento in cui mi sono accorta di aver iniziato a frequentare questa sezione più del feed principale, un comportamento che sarebbe stato impensabile anche solo fino a qualche mese fa; la seconda invece ha a che fare con il modo in cui il comportamento degli utenti cambia in relazione alle evoluzioni repentine della piattaforma.
Ho scritto repentine, ma in realtà intendevo graduali finché un giorno la trasformazione è ultimata e non c’è niente che si possa fare se non accoglierla come il nuovo stato delle cose. In un momento storico in cui coniamo in continuazione nuove parole per descrivere le malattie della società dell’informazione digitale, mi piacerebbe definire questo fenomeno Sindrome da aggiornamento del diario di Facebook. Mesi di riunioni aziendali, test dell’algoritmo, versioni beta e leak giornalistici culminano in quell’unico sensazionale momento in cui la metamorfosi si sostanzia nella nuova interfaccia, suscitando tutto il nostro sensazionale rifiuto, un astio pronto a spegnersi nel giro di due settimane per poi riaccendersi all’avvistamento della successiva punta d’iceberg. Insomma, la “sindrome” è semplicemente che non ci piace quando Facebook e Instagram cambiano, ma se con Facebook la storia insegna che finiamo sempre per accettare la trasformazione, con Instagram sembra non essere così.
Per chi non se lo ricordasse, questa estate l’annuncio di un radicale cambio di visualizzazione del feed ha mobilitato utenti e celebrità, influencer e creator in una protesta contro l’aggiornamento che avrebbe avvicinato ancora di più la piattaforma alle modalità di fruizione di TikTok. Dopo settimane di backlash, quello che è stato annunciato dall’azienda è un dietrofront (anche se in realtà la video risposta dell’Head of Instagram Adam Mosseri suona più come: «Stiamo cambiando tutto ma non preoccupatevi non cambierà niente»). Quello che è successo, invece, è che Instagram è diventato (accidentalmente) Pinterest.
Dire che Instagram è diventato Pinterest è una provocazione, ma è anche un modo per stabilire che, TikTok o no, un cambiamento sensibile dell’app alla fine c’è stato: sulla piattaforma, infatti, si vedono sempre meno gli affari degli altri e sempre di più quella cosa chiamata “gli interessi degli utenti”. Non solo, il feed è diventato un posto intollerabile, abitato quasi esclusivamente da account consigliati e post sponsorizzati, tra cui solo raramente spunta fuori il carosello della vacanza in Marocco del tuo ex compagno di classe al quale ti precipiti a mettere like in preda a una commozione quasi isterica per quel briciolo di interazione umana che ti è stata concessa.
A questo punto Explore è quella cosa che capita nella fruizione quotidiana quando non sai più come relazionarti a un’app che ha stravolto completamente il motivo per cui dovresti frequentarla. Gli interessi sono diventati il balsamo della vita nelle piattaforme digitali, l’agente mitigante che tranquillizza gli utenti mettendogli a disposizione una Wunderkammer personale e assicurando loro che al centro c’è ancora la community. Perché gli interessi sono quelle cose che uniscono le persone. Come recita la pagina Company di Pinterest: Pinterest is the visual discovery engine. Our mission is to bring everyone the inspiration to create a life they love. Come recita la pagina About di Instagram: Give people the power to build community and bring the world closer together.
C’è un’altra cosa che dice Instagram, stavolta nella pagina che invita le aziende a spendere i propri soldi in adv nella griglia di ispirazioni: Explore is where people go to serendipitously discover content, watch, shop and connect. Every person’s Explore page is unique. Cercherò di non fare battute sulla serendipitá degli utenti di Instagram per concentrarmi invece sull’ultima parte dell’affermazione: ogni pagina Explore è unica. Tranne per il fatto che non lo è. Quando ho chiesto di ricevere screenshot delle Explore personali non avevo nulla in mente, se non la certezza che a prescindere dall’oggetto delle immagini l’impatto visivo sarebbe stato esteticamente uniforme nella sua gradevolezza, a riprova che qualsiasi interesse può diventare aesthetic attraverso il filtro della curatela algoritmica. La selezione dei fermoimmagine che trovate in questa mail lo conferma.
In ultima battuta, la cosa che mi lascia più perplessa di questa crisi di mezza età di Instagram è che Pinterest, come viene osservato in questo articolo su Slate, non è neanche un vero e proprio social network: «Pinterest is more of “a catalog that’s hand-picked” for users, he said. While traditional social networks are about uploading content for other users to like and comment on, Pinterest is more self-serving.» A questo punto le ipotesi sui motivi di questa infelice trasmutazione sono diverse, o almeno due: la prima è che la piattaforma stia subendo la stessa sorte che è toccata a Facebook, spostandosi sempre di più verso funzionalità che in una prima fase non facevano parte della sua natura per fare posto a qualcos’altro (leggi: metaverso) come nuovo epicentro dell’interazione. La seconda è che la morte dei social network per mano della TikTokizzazione di Internet stia trasformando gli spazi sociali online in non-luoghi, ambienti consumati ma non vissuti, cataloghi autoreferenziali di interessi e life hack curati da stringhe di codice. Se quest’ultima congettura dovesse rivelarsi esatta, mi prenoto subito per coniare il nuovo termine che svelerà i gelidi meccanismi che hanno costretto Instagram a diventare Pinterest nello sforzo di essere TikTok: benvenuti nell’era dell’Inspirational Capitalism. Comunque sempre meglio che vivere nel metaverso.
Ehi, questa era la mia prima newsletter! Un ringraziamento speciale va a tutte le persone che hanno contribuito inviandomi screenshot della loro pagina Explore e facendo due chiacchiere con me sul modo in cui Instagram sta cambiando.