Ciao a tutti/e!
Interrompo la pausa estiva per segnalarvi l’uscita di un mio articolo su QUANTS, mensile di economia, tecnologia e cultura. Parla di iperturismo, ovvero di come il digitale e la cultura di massa contribuiscano al progressivo dissolvimento della dimensione territoriale locale, generando fenomeni di falsificazione culturale ed esclusione socio-economica. Per dirlo usando un frammento del mio articolo:
Tra Frozen e la pasta tricolore, i campeggi con la Spa e i carrozzoni gitani, i finti gladiatori e le sedicenti influencer, l’immagine del mondo accelerata dal digitale è sempre più simile a una “moodboard ispirazionale” da salvare su Pinterest o condividere nelle proprie Instagram Stories. Il problema delle immagini “ispirazionali”, però, è che mentre propongono un’idea falsificata della realtà, la trasformano per assecondare sempre di più quella visione promettente e ingannevole.
Se volete acquistare il cartaceo della rivista potete trovare una copia qui o abbonarvi qui. Se preferite la versione digitale, di seguito trovate un estratto del pezzo. Potete accedere al testo integrale cliccando sul bottone in fondo 👇
Buona lettura e buon agosto!
«Lo spazio turistico è anzitutto un’immagine» scriveva negli anni Settanta il geografo Jean-Marie Miossec. Oggi forse ci sembrerebbe più sensato affermare che lo spazio turistico è un bel carosello nel feed, o un reel minuziosamente montato, in cui la voce dell’utente di turno accompagna una sequenza di immagini mozzafiato di luoghi “da visitare assolutamente”, consigliando mete inesplorate e tappe imperdibili attraverso cui fare esperienza di una destinazione. Fin qui niente di nuovo. Ma se è vero quello che sostiene Miossec, ovvero che l’immagine coincide con il luogo, la domanda sorge spontanea: come è cambiata la rappresentazione dello spazio turistico dai tempi delle guide e delle cartoline a quelli di Instagram e TikTok? E cosa succede alla promozione territoriale delle nuove “immagini-luogo” quando la narrazione istituzionale viene contaminata dalle rappresentazioni di tendenza di creator, influencer e utenti online?
Una risposta involontaria e parziale, ma non per questo meno importante per il suo impatto simbolico, viene suggerita proprio dall’Italia, e nello specifico dalla famigerata campagna che l’Agenzia Nazionale del Turismo ENIT ha lanciato per promuovere il territorio italiano nel 2023: “Open to Meraviglia”. L’operazione commerciale di ENIT persegue lo scopo di rilanciare le destinazioni del Belpaese e aumentarne la visibilità all’estero mettendo in campo una ambasciatrice inaspettata: la Venere di Botticelli, che nella campagna dell’ente si trasforma in una vera e propria influencer social, o meglio, in una “Virtual content creator and testimonial” come recita la bio del suo profilo fittizio su Instagram, @venereitalia23.
In questo spazio, la Venere-influencer viene rappresentata mentre si scatta selfie sullo sfondo di destinazioni più o meno note al target dei viaggiatori internazionali: Roma, Capri, Ercolano, ma anche Valle di Diano e Vietri sul Mare. I post sono confezionati per imitare le tendenze di rappresentazione turistica più diffuse tra gli utenti online, cercando di rivoluzionare la comunicazione ingessata e istituzionale dell’Agenzia, camuffando i toni e abbattendo le dicotomie: il passato incontra la dimensione contemporanea, la tradizione erompe dai suoi canoni e dialoga con le pratiche del tempo libero moderno. La Venere mangia la pizza, va in bici e gioca a golf. Indossa jeans, bluse annodate sull’ombelico e caftani con nappe da vera turista borghese a Positano. Le critiche provenienti dal web hanno definito l’operazione approssimativa, mediocre, persino cringe. Eppure, nella sua inquietante stranezza la Venere-influencer è la perfetta dimostrazione di quel che è diventata l’immagine turistica oggi: una miscellanea di rappresentazioni culturali che producono una novità sempre uguale a sé stessa, in cui il tentativo di selezionare un messaggio originale volto a sottolineare l’autenticità di un luogo non fa altro che produrre l’effetto opposto, un senso di contraffazione di cui è difficile sbarazzarsi.
L’esempio della campagna ENIT è tra i più conclamati, se non altro per l’unanimità del dissenso ricevuto, ma il problema dell’immagine turistica digitale non si ferma agli scivoloni istituzionali, abbracciando l’intera pratica del discorso mainstream online. I video degli utenti riprendono il linguaggio del travel blogging e delle guide turistiche di massa, lo stesso che la Venere vorrebbe imitare, offrendo versioni gratuite e personali di rubriche di consigli in stile Lonely Planet: cosa vedere in 48 ore, come sopravvivere con poco budget, gli itinerari personalizzati, intelligenti e sostenibili, e infine i “POV” (acronimo per Point of view), ovvero i video che esaltano la sensazionalità dell’esperienza individuale a ritmo di hit, come veri e propri spot pubblicitari.
Il format vale per qualsiasi destinazione: dai paesini in Umbria a Bali, fino ai consigli su come vivere le metropoli urbane fuggendo dai percorsi turistici per sperimentare la città come veri e propri “local”. Uno dei video che mi ha colpita di più è stato realizzato a Tokyo da un utente giapponese: nel reel, @jinfromjapan mostra la sua esperienza in un modesto negozietto di udon in un cui la proprietaria, una signora di 85 anni che da più di vent’anni gestisce da sola il locale, offre all’avventore autentiche specialità casalinghe preparate sotto i propri occhi, il tutto per una somma sorprendentemente modesta per gli standard della metropoli. A differenza dei soliti contenuti, il video si apre con un disclaimer inaspettato: «Non voglio che questo ristorante diventi sovraffollato, per favore non andateci», una richiesta che non può non suonare contraddittoria, soprattutto quando si osserva che l’account da cui è stato pubblicato offre regolarmente consigli turistici ai suoi 55 mila follower e che il video in questione è stato uno dei più apprezzati di sempre, arrivando a contare ben 24 milioni di visualizzazioni.
Il cortocircuito è evidente: nella dimensione digitale come in quella turistica, la rappresentazione dell’autenticità è l’unica moneta di scambio possibile, anche a costo di dare in pasto sé stessa all’inevitabile fagocitazione dell’esperienza di massa. L’importante è continuare a produrre nuove versioni dell’autentico, non importa che siano guide di consigli prontamente sconfessati o foto di stock con la faccia della Venere appiccicata sopra.
Ma la relazione tra i contenuti degli utenti e la campagna ENIT svela anche un altro aspetto della produzione degli immaginari turistici.
Noi ci sentiamo a settembre 👋 buona estate!