Ciao a tutti/e 👋
Quella che segue è la prima parte di una riflessione dedicata al tema della magia e della letteratura fantastica. La seconda parte uscirà tra due settimane. Come sempre, questa newsletter è un cantiere. Non vuole essere un’analisi puntuale, né fornire risposte definitive. In questo caso le domande restano più aperte che mai, è un tema a cui tengo molto e di cui riconosco l’ampiezza e la complessità.
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Buona lettura!
Pochi mesi fa ho deciso di approfittare di una brutta influenza per giocare a Hogwarts Legacy, il videogioco di ruolo ambientato nel mondo di Harry Potter grazie al quale è possibile vestire i panni di una giovane studentessa (o studente, a seconda delle preferenze) dell’illustre scuola di magia e vivere un’inedita avventura tra i corridoi del castello e le terre circostanti.
Erano anni che non tornavo con l’immaginazione nel mondo di Harry Potter. Come molti dei miei coetanei, sono cresciuta in simbiosi con i libri della saga, divorando con avidità ogni pagina e sognando quotidianamente quei mondi fantastici. Nel corso dei dieci anni della loro pubblicazione, i libri sono mutati insieme a noi, passando dal rappresentare un avvincente storia per bambini a un complesso sistema di idee, conoscenze e immaginari intimamente intrecciato alla nostra storia personale. Quando è uscito l’ultimo volume della saga io avevo diciotto anni, non ero più così giovane eppure quel mondo continuava ad accompagnarmi, assumendo la forma di un codice segreto attraverso cui riconoscere le persone che avevano condiviso il mio stesso viaggio. Il primo ragazzo di cui mi sono innamorata assomigliava a Gramsci e mi parlava di horcrux nascosti attorno a noi: amavamo Harry Potter soprattutto perché rendeva possibili questi piccoli scambi; non ci interessava commentare la trama, quanto intrecciare i due mondi attraverso un gioco di cui avevamo imparato le regole con naturalezza, anno dopo anno.
Non so come sia successo, ma a un certo punto ho smesso di giocare a quel gioco. Ho dimenticato gli horcrux e i mondi immaginari, mi sono allontanata dalla letteratura fantastica e dall’idea che credere nella magia significhi soprattutto esercitare uno sguardo alternativo su ciò che ci circonda, interrogando costantemente il senso di realtà attraverso l’immaginazione e il linguaggio.
Quella settimana di febbre ed esplorazioni nelle terre di Hogwarts, però, ha cambiato nuovamente le cose, facendomi ritrovare un piacere che avevo a lungo dimenticato. In quei giorni, non ho solo riscoperto un sentimento di affilata nostalgia per gli scenari incantati di Harry Potter, ma l’esperienza di gioco ha risvegliato in me un inappellabile bisogno di magia e di mondi impossibili, dando forma all’urgenza di proteggere quell’esperienza fantastica da un nuovo viaggio verso l’oblio dell’età adulta.
Oggi, a distanza di tre mesi da quella settimana, posso dire di aver collezionato tutti i Demiguise, ma soprattutto di esser riuscita ad aprire nuovamente un dialogo con quella parte di me a lungo sopita. Sono tornata a giocare e a esplorare la letteratura fantastica senza impormi limiti di genere. Più leggo, più ritrovo una parte della mia identità che mi ha definita per anni, anche se è la stessa versione di me che in fondo desiderava solo evadere dalla realtà, tutt’al più inventarsene un’altra. Proprio per questo ho iniziato a farmi domande che non avevo mai affrontato prima: mi chiedo, ad esempio, se la natura di queste letture sia destinata a riflettere un ineludibile bisogno di escapismo dalla società contemporanea e quanta cultura reazionaria si nasconda in questi mondi. Mi chiedo anche quale impatto culturale questi immaginari abbiano davvero sui lettori e sulla loro formazione. Infine, mi chiedo (e non senza un penetrante bruciore allo stomaco) se in fondo non abbia ragione l’attrice Miriam Margolyes quando, rivolgendosi ai fan adulti della saga, suggerisce loro di abbandonare i mondi immaginari e accettare che l’infanzia è finita.
Qualche settimana fa Margolyes, che nell’adattamento cinematografico dei romanzi di Harry Potter interpreta il ruolo della professoressa Sprite, ha espresso la sua preoccupazione per i fan adulti della saga per i quali, dal suo punto di vista, sarebbe arrivato il momento di “crescere” e accettare che si tratta di un capitolo chiuso, relegato all’infanzia. Il suo commento, sebbene intriso di sarcasmo, ha inevitabilmente toccato un nervo scoperto. Non è la prima volta, infatti, che l’attaccamento per il mondo magico di Harry Potter finisce al centro di un dibattito critico nei confronti della generazione che più di tutte è stata toccata dalla sua storia: quella dei Millennial.
Nel 2020, una serie di video su TikTok in cui la Gen Z derideva le ossessioni dei Millennial ha catturato l’attenzione di milioni di utenti, gettando luce sugli aspetti della millennial culture considerati ridicoli dai più giovani. Le critiche mosse nei confronti dell’adorazione per il mondo di Harry Potter risuonano in modo sorprendentemente simile a quelle espresse da Margolyes. Basta leggere questo commento di una ragazza di sedici anni durante un’intervista su Vice:
Sinceramente, proprio li non capisco i millennial. Quella roba di Harry Potter è una fase che io ho superato in seconda media, ma questi millennial stanno ancora a cercare "ricetta burrobirra Harry Potter" e, voglio dire, quando pensi che ne uscirai? È finita.
Una parte di me non riesce a non dare ragione a queste critiche. Comprendo il desiderio di porre fine a questa ossessione soprattutto quando ricordo che le forme di partecipazione collettiva e di condivisione culturale legate a Harry Potter nella maggior parte dei casi non sono altro che occasioni di consumo di massa, all’interno delle quali il valore della pratica immaginativa viene trasferito dalla dimensione interiore e relazionale a quella industriale della merce, dei gadget e del turismo: dalle visite guidate nei luoghi della saga ai souvenir, dalle collaborazioni con i giganti del fast-fashion alle edizioni limitate di LEGO. Quello che prima si presentava come un linguaggio segreto attraverso cui riconoscersi, oggi ha assunto i connotati della lingua più universale di tutte, quella pubblicitaria, attraverso cui anche il più piccolo riferimento diventa un motto da stampare sulla superficie di tazze e magliette in vendita su Temu.
Tuttavia, il nocciolo della questione sollevato da Margolyes non è tanto la morte dell’immaginazione fantastica sotto il peso del consumismo, quanto l’idea che l’attaccamento a un immaginario fantastico finisca per diventare un fardello nel passaggio all’età adulta. Da questo punto di vista, le provocazioni dell’attrice sollevano un problema più ampio di cui Harry Potter rappresenta solo la punta dell’iceberg: da una parte, gettano luce sulla questione dei confini culturali che definiscono l’età adulta, dall’altra veicolano un messaggio preciso sulla funzione della narrativa fantastica all’interno della società, il cui ruolo dovrebbe limitarsi a quello di un’esperienza formativa provvisoria.
Se questa argomentazione fosse vera, ci troveremmo di fronte a un dilemma culturale significativo. Negli ultimi anni, infatti, questo genere di letteratura ha registrato un nuovo aumento della domanda, assistendo alla nascita di pubblici sempre più ampi ed eterogenei. A partire dal 2021, le vendite di romanzi fantasy e di science fiction sono quasi raddoppiate, delineando un trend che ha continuato a crescere anche negli ultimi anni. I Millennial sembrano essere al centro di questo rinascimento letterario: non solo rappresentano lo zoccolo duro del fandom di Harry Potter, ma secondo alcuni dati sarebbero anche i principali acquirenti e fruitori di letteratura Young Adult in America, compreso il fantasy e il sempre più amato (e venduto) romantasy.
Questo rinnovato interesse per il genere fantastico potrebbe essere interpretato come il sintomo di una generazione di nuovi adulti che si rifiuta di “crescere” oppure come la reazione a una monocultura dominante che pervade gli spazi di socializzazione e dialogo, oltre che di progettazione e immaginazione.
In America, a distanza di pochi mesi dal debutto di Harry Potter e la pietra filosofale, un nutrito gruppo di cattolici conservatori si scagliò contro il successo del libro, accusando le saghe di fantasia (e in particolare quella di Harry Potter) di fuorviare bambini e adulti, avvicinandoli alle pratiche occulte attraverso l’amplificazione mediatica degli immaginari fantastici. In un articolo del 1999, l’evangelista Berit Kjos analizzò le opere di Harry Potter e Dungeon and Dragons mettendo in luce due caratteristiche da lei ritenute particolarmente problematiche:
Entrambi consentono ai fan di immergersi in un mondo fantastico, plausibile e ben disegnato, caratterizzato da una storia in evoluzione, una geografia costruita con cura e dei maghi che incarnano lo spaventoso e potente mito dello sciamano.
In questo mondo fantastico sia gli adulti, sia i bambini, vengono spinti dentro esperienze immaginate che generano ricordi, costruiscono nuove idee, guidano i pensieri e modellano la nostra comprensione del reale.
Le osservazioni di Kjos, seppur mosse da intenti critici, delineano involontariamente quanto di più seducente e rivoluzionario viene offerto dalle narrazioni fantastiche. L’ingresso in questi universi immaginari, infatti, esercita un’influenza profonda sul subconscio, incidendo in modo indelebile sulla nostra esperienza interiore e modellando il nostro approccio alla realtà.
Un approfondimento sulla rivista The Conversation sintetizza i risultati di diversi studi che, negli anni, hanno cercato di smantellare gli stereotipi secondo i quali i lettori di fantascienza e letteratura fantastica non sarebbero solo dei nerd, ma anche individui dissociati e incapaci di affrontare la realtà, un’idea che la stessa Margolyes sembra suggerire implicitamente. In contrasto con questi pregiudizi negativi, gli studi dimostrano come queste letture sarebbero invece in grado di favorire lo sviluppo di resilienza ed empatia, offrendo ai lettori una zona sicura dalla frenesia che domina la vita quotidiana. Più che sintomo di una tendenza all’abuso di narrazioni escapiste, il successo di questo tipo di narrativa rifletterebbe invece la ricerca di un sano antidoto al sovraccarico di realtà generato dall’aggressiva disponibilità di informazioni che domina la società contemporanea.
Secondo Esther Jones, autrice dell’articolo e docente di letteratura e gender studies, sarebbe proprio la distanza tra questi immaginari e la realtà a permettere ai lettori una maggiore capacità critica nei confronti dei problemi che dominano il mondo concreto:
This distance gives readers an avenue to grapple with complexity and use their imagination to consider different ways of managing social challenges. What better way to deal with the uncertainty of this time than with forms of fiction that make us comfortable with being uncomfortable, that explore uncertainty and ambiguity, and depict young people as active agents, survivors and shapers of their own destinies?
Se, come osserva Jones, la letteratura fantastica può insegnare ai suoi lettori a produrre un impatto concreto sulla società, che tipo di lezione ha impartito Harry Potter alla generazione che è cresciuta con i suoi libri?
Se c’è un elemento critico da prendere in considerazione, forse non va ricercato nell’attaccamento morboso dei suoi fan, né nella possibilità che quei mondi continuino ad accompagnare il pubblico nell’età adulta, bensì in un particolare tipo di visione intrinsecamente elitaria e borghese che il rapporto asimmetrico tra il mondo magico e quello non magico di Harry Potter finisce per veicolare.
Quando il primo libro della saga è arrivato in Italia, io avevo appena otto anni. Nonostante non si trattasse della mia prima incursione letteraria nei regni della fantasia, quella lettura trasformò radicalmente la mia percezione delle cose, aprendo una finestra su un universo magico che non solo infiammava la mia immaginazione, ma appariva per la prima volta plausibile, un’occasione accessibile appena oltre i confini della realtà quotidiana. Rispetto ad altre saghe della mia infanzia, infatti, Harry Potter offriva un tipo di fantasia quasi tangibile, rivelando l’esistenza di un mondo incantato nascosto tra le pieghe del nostro, il cui accesso veniva mediato da una delle più tradizionali forme di invito: la ricezione di una lettera. Per anni, il sogno di essere ammessa a Hogwarts ha rappresentato un rifugio e una consolazione, ma anche il catalizzatore di un’indicibile speranza: che la quotidianità rappresenti solo l’anticamera di un’esperienza straordinaria a cui attendiamo di essere invitati.
Al pari di Una mamma per amica, che ha debuttato sul piccolo schermo pochi anni dopo, il fascino di Harry Potter risiede nella sua capacità di raccontare la storia di un talento eccezionale all’interno di un paesaggio umano e culturale in cui l’elemento mondano e quello straordinario sono perfettamente intrecciati tra loro, dando vita a un mondo che è familiare ed esclusivo al tempo stesso. La storia del bambino sopravvissuto sarà anche unica del suo genere, ma attorno a lui si estende un’intera società di non eroi, personaggi minori, NPC che tuttavia sono riusciti a oltrepassare il confine tra Charing Cross Road e Diagon Alley, scoprendo di appartenere a un altro regno, magari come maghi mediocri, ma sicuramente lontani dal rischio di condurre un’esistenza da ignari babbani. La promessa più seducente e insidiosa che la saga fa ai suoi lettori non risiede nella scoperta di essere il prescelto, ma nella possibilità di diventare membro di un club esclusivo. Essere dei Tassorosso significa comunque essere ammessi a Hogwarts.
Nonostante capisca la potenziale cringeness di un gruppo di trentacinquenni intenti a discutere di pozioni polisucco e cioccorane, temo che il vero dilemma dei Millennial non siano tanto le cene a tema e i subreddit maniacali, quanto il fatto di aver introiettato il sogno di una società composta da un elite libertaria e progressista che camuffa le sue istanze conservatrici assumendo le sembianze di un’utopia meritocratica e bohémien, per di più attraversata da poteri magici. Come spiega questo articolo di Will Sofiac su The Critic, nonostante Harry Potter venga percepito come il prodotto dei Millennial, in realtà è piuttosto il frutto di una specifica classe di pensatori appartenente alla generazione precedente, che l’autore identifica come Bobos, i borghesi bohémien portatori di valori egualitari e intrinsecamente elitari alla champagne socialism.
Despite their professed egalitarianism and hostility to the old aristocratic world, the bobos displayed an appreciation for its accouterments and symbols of exclusivity. In terms of consumption and lifestyle they defined themselves against the mass market consumerism embraced by the Dursley class. This is very much reflected in the wizarding world, where Diagon Alley is a bobo’s shopping paradise of idiosyncratic independent shops where every product tells a story. At Hogwarts the architecture, the house system, the blithe acceptance of danger and risk, the eccentricity, the traditions, and the insiders’ language is reminiscent of a mix between a public school and an Oxbridge college.
Il problema di Harry Potter non è la burrobirra, ma il messaggio implicito che la società ideale si riduca a una casta di menti affini che hanno saputo distinguersi dalle altre, oltrepassando il confine tra mondano e straordinario.
Una delle caratteristiche di Hogwarts Legacy più criticate dai suoi giocatori è la ripetitività di alcuni dialoghi che ricorrono ogni volta che il personaggio principale compie una determinata azione. Durante la mia settimana di gioco, la frase che mi faceva stare più male – perché capace di infondermi una strana malinconia – era quella pronunciata puntualmente all’ingresso di Hogsmeade, il delizioso villaggio di maghi a due passi da Hogwarts: «A volte sembra che tutte le strade portino a Hogsmeade», un mantra ricorrente che cattura alla perfezione la nostra fame di un rifugio fantastico, ma che può suonare anche come una minaccia, comunicandoci l’impossibilità di eludere il ritorno alla nostra Stars Hollow magica. Il nostro passato, presente e futuro.
Se la letteratura fantastica può aiutare a sviluppare sguardi alternativi e contribuire alla crescita di persone in grado di agire sul futuro, non può farlo se non diventiamo interlocutori attivi di quelle stesse visioni che ci hanno influenzato così nel profondo.
In fondo il problema non è salvare o meno Harry Potter, ma difendere il valore dell’immaginazione oltre i confini istituzionali e commerciali, come pratica libera che può rappresentare tanto uno spazio di improduttività quanto di creazione e progettazione. Oggi i Millennial non sono solo i primi fruitori di queste narrazioni, ma anche gli autori e le autrici delle nuove opere che, mentre scrivo, forse stanno già influenzando le generazioni future. Speriamo che nel farlo sappiano ricordarsi che esistono molte più strade di quelle che portano a Hogsmeade, la maggior parte delle quali conduce verso luoghi misteriosi, destinazioni ancora sconosciute che attendono solo di essere raccontate.
💧 Consigli e cose belle al volo (se siete arrivati sani e salvi fin qui):
A proposito di nuove letture fantastiche: Kalpa Imperial di Angélica Gorodischer mi ha paralizzata per la sua bellezza. Potrei parlarne nella prossima newsletter.
Saggistica: è uscito La seconda prova di Pietro Minto e chissà se stavolta riuscirò a imparare la matematica, mentre non vedo l’ora di leggere L’industria degli influencer. La ricerca dell’autenticità sui social media di Emily Hund. Ho anche iniziato a leggere Dopo Internet di Tiziana Terranova, che consiglio.
La proliferazione delle bevande funzionali e la scomparsa dei drink tradizionali, su The Atlantic:
Maybe it’s not surprising that people crave products claiming to bottle some form of respite. Younger adults, to whom most of these drinks are targeted, are drinking less booze but also using more marijuana: They want altered states, if just not in alcohol form. In lieu of happy-hour drinks at a bar, some functional beverages are positioned as something to gather around. One called hiyo describes itself as a “mindful social tonic”; another, called Three Spirit, is meant to “make moods and enhance connections.”
Questo:
Direi basta, ci sentiamo fra due settimane!
Grazie per questo riflessione, davvero molto a fuoco e centrata. Aspetto con ansia la seconda parte!