Bentrovati/e 👋
Come potete notare, questa settimana Una goccia esce in anticipo.
In questo numero trovate due cose:
La prima è l’estratto di un articolo che ho scritto per Lucy - Sulla cultura. Si intitola L’ossessione per il benessere non ci salverà e parla di come, nell’ultimo anno, l’algoritmo di Instagram abbia inondato il mio feed di video dedicati all’efficientamento nutrizionale e alla gestione maniacale del tempo libero: morning routine, meal prepping, what I eat in a day as a keto girl, as a plant-based model, as a paleo influencer. Su Lucy racconto com’è vivere in quest'angolo d'occidente in cui la vita – dei più giovani ma non solo – sembra ormai la simulazione di un’ospizio chic: foderati in tutine costose, a contare le calorie e fare stretching su un tappetino, mentre aspettiamo di tirare le cuoia.
La seconda è una compilation di letture speciali ispirata a una cosa di cui parlo nel pezzo per Lucy 🍱. Si legge in fondo. A presto!
Verso la fine dell’estate mi piace fare questa cosa un po’ stucchevole di andarmene al parco vicino casa a contemplare la natura urbana e assaporare in anticipo l’arrivo dell’autunno. Ovviamente, a fine settembre a Roma non c’è un indizio di cambio di stagione neanche a pagarlo quindi, in realtà, me ne sto lì a simulare un po’ di malinconia e a osservare con inquietante amorevolezza le coppie giovani. Quest’anno due adolescenti si sono accoccolati su una zolla d’erba vicino a dove ero seduta. Lui si è sdraiato poggiando la testa sulle gambe di lei, i volti orientati l’una verso l’altro, le mani della ragazza nei capelli del ragazzo. Hanno iniziato a sussurrarsi cose, a ridere, discutere. A un certo punto, la conversazione si è accesa: lui le faceva domande appassionate, lei rispondeva con lunghe spiegazioni. Mi sono messa in ascolto: “Non è come pensi”, diceva lei. “Se vuoi diminuire i carboidrati devi aumentare l’apporto di grassi e fare un uso moderato di proteine. In pratica per ogni grammo di carboidrati dovresti consumare quindici grammi di grassi. Hai capito, amore?”. Sono rimasta lì per tutta la durata della loro conversazione. Sugli alberi, neanche una foglia gialla.
Ultimamente nell’aria pare ci sia più smania di salute che libido, più autodisciplina che desiderio. E sembra che questa tendenza origini proprio da una gioventù che, invece di consumare i migliori anni della propria vita in eccessi e trasgressioni, ha deciso di intraprendere la strada della cura di sé, eleggendo il salutismo come il migliore dei modi per dissipare l’eccesso di energia giovanile. Basta guardarsi attorno per accorgersene. C’è il picco di sobrietà adolescenziale, con le lattine di design che offrono il brivido di uno spritz analcolico al sommacco piccante o l’ebbrezza di un surrogato di Negroni con sentore di ginepro toscano biologico; c’è la sinistra ondata di regimi di bellezza anti-ageing per pubescenti ossessionate dall’invecchiamento cellulare; c’è la sezione #FitTok, con più di quattro milioni di contenuti, dedicata a workout e alimentazione. Ci sono, infine, ronde di teenager che invece di aggirarsi per il supermercato nel tentativo di trafugare della vodka scadente, perlustrano gli scaffali scannerizzando i prodotti con Yuka, una app per la rilevazione di zuccheri e grassi in eccesso nei valori nutrizionali. Secondo alcuni studi le motivazioni di questa nevrosi risiederebbero nell’atipica mole di dati sulla salute personale a cui le nuove generazioni hanno accesso, mentre altri tendono a ricercarne la causa nell’alienazione che attaglia i nativi digitali. In ogni caso, la vita e la sua rappresentazione online sembrano sfumare in una foschia torpida che avvolge giornate scandite da integratori e superfood, routine alimentari e aperitivi “fit” a base di kombucha e pizzette all’albume da gustare inguainate in tutine di poliestere rigenerato color confetto. Da qualche parte, oltre la caligine, persistono le catastrofi ambientali, le guerre, il brusio di città immerse in un’unica stagione afosa. È come se improvvisamente vivessimo tutti a Los Angeles. Invece siamo qui, sparsi tra Lubecca e Caltanissetta, legati gli uni agli altri dai nodi di una rete che sfruttiamo esclusivamente per scambiarci consigli nutrizionali.
Pochi giorni fa mi sono imbattuta in un subreddit dedicato al videogioco The Sims dove si possono trovare informazioni sull’apporto calorico ideale per i propri personaggi virtuali. All’interno della conversazione una tabella nutrizionale indica i valori di ogni pietanza. I dati vengono analizzati e commentati dagli utenti, che condividono esperienze di gioco e suggerimenti per perfezionare la dieta degli avatar. Il salmone in crosta per esempio ha più calorie dell’insalata, ma garantisce la possibilità di essere produttivi più a lungo, mentre mangiando due aragoste alla Termidoro ogni giorno il sim manterrà il suo peso forma ideale. Una delle discussioni più accese riguarda i prodotti da forno che, a quanto pare, non hanno calorie. “Non è possibile” commentano gli utenti. “Cosa nascondono i programmatori del gioco?”, “Qual è il trucco?”. La carbofobia dei giorni nostri contagia anche la dimensione immateriale del gaming.
🍱 Lunchbox compilation 🍱
Una piccola divagazione partendo dal fenomeno del meal prepping. Di Tupperware, pranzi al sacco, porta pranzi, pasti preconfezionali e cibi maniacalmente ordinati.
Anzitutto: secondo Wikipedia il primo pranzo al sacco nella storia viene raccontato nelle sacre scritture. Si tratta di una zuppa d’avena accompagnata da pezzi di pane preparata dal profeta Habacuc per sfamare i mietitori.
Ma non è l’unico pranzo al sacco dell’antichità: questo articolo sul New Yorker racconta il ritrovamento di un porta pranzo risalente a circa quattromila anni fa.
Niente a che vedere con i lunchbox moderni. Il sito del National Museum of American History ne ha raccolti più di cinquanta nella sua collezione. Questo sito illustra alcuni dei più interessanti.
A proposito di anni Cinquanta, l’azienda Tupperware ha provato a rilanciare i propri prodotti con un rebranding, ma sembra che nulla riuscirà a salvarla dalla bancarotta.
💌Una nota personale 💌 Io, se penso ai Tupperware, divento inevitabilmente nostalgica: penso ai tappi blu deformati dall’utilizzo, alle ciotole di plastica opaca e a tutte le estati in cui le abbiamo riempite di insalata di riso e maionese, ma soprattutto penso a come i Tupperware che finivi per possedere non erano mai i tuoi, ma il risultato di una serie di scambi e prestiti mai restituiti. Ancora oggi, quando uso un vecchio contenitore, penso alla persona a cui non l’ho mai dato dietro.
Cosa sono stati i Tupperware party, dagli anni Cinquanta ai Duemila:
Over 60 years ago, Tupperware parties were an escape from the dreary life of house-wivery, a chance to exchange the husband, kids, chores and expectations for a sly drink with friends while completing the transition to ultimate domestic goddess. Perhaps this is why the parties are still going strong in 2013: for a certain group of women who needed it, they were the original social media platform. Although our party saw more jeans than pink-frosted pinafores, the element of escapism remained – away from employers, lecturers and most importantly, our modern life; a fleeting moment of nostalgia and an attempt for the perceived sophistication of our foremothers.
Il lunchbox, o la schiscetta, in ogni caso ha origini popolari. Questo articolo ne ripercorre la storia in Italia:
Il vecchio portapranzo di operai e impiegati, superato da mense e buoni pasto, dovrebbe avere un posto nel Dizionario delle cose perdute di Guccini al pari delle cartoline e delle cabine telefoniche. Vintage già dal nome, anzi, dai nomi: schiscetta, gamella, baracchino, caccavella, su gaungiu, scutedd, cumpanaggio, tegamino. In “Marcovaldo ovvero Le stagioni in città”, Italo Calvino la chiama pietanziera, dedicandole l’omonimo racconto.
Come cucinava e mangiava la classe lavoratrice americana nel Novecento:
Il contenuto di un porta pranzo può giocare un ruolo fondamentale nella definizione di un’identità sociale, soprattutto quando si cresce all’interno di un sistema che stigmatizza ogni singola differenza culturale. The Limits of the Lunchbox Moment è un essay molto bello, pubblicato dalla rivista Eater, che esplora la diffusione letteraria del lunchbox moment come tropo per raccontare il profondo senso di vergogna provato da molti immigrati o figli di immigrati verso il contenuto esotico e appariscente del proprio porta pranzo. Il saggio si sofferma sulla centralità di questa narrazione nei romanzi e nei personal essay contemporanei, evidenziando i limiti che pone nella rappresentazione delle culture gastronomiche non occidentali:
The lunchbox moment doesn’t require the reader to think about how class, religion, or caste could all change an immigrant’s experience. It doesn’t point out all the invisible ways immigrants and people of color are made to feel unwelcome. It doesn’t allow for muted or shifting feelings, or the complications of systemic racism. It’s just the hard clarity of Us v. Them, Shame v. Triumph, a white boy telling you you’re gross and a different white boy telling you he actually likes lumpia. The white gaze expects brown suffering, and even if these stories of shame and bullying are true, they can also serve to enforce that suffering. Suddenly, belonging means catering to the stories white people assume we carry.
Nel regno della semplificazione americana, invece, la caffetteria scolastica è, per antonomasia, lo spazio dell’eterno conflitto tra i cliché identitari che danno forma all’adolescenza occidentale. In queste rappresentazioni, il porta pranzo diventa tanto simbolo di differenze sociali quanto indicatore dei diversi gradi di privilegio dei suoi proprietari. Se il white people lunchroom drama fosse un genere ufficiale e non una cosa che ho appena inventato, The Breakfast Club rappresenterebbe senza ombra di dubbio il suo manifesto:
A metà tra una schiscetta e il vassoio di una mensa scolastica, ci sono i pasti serviti in aereo, una speciale categoria di cibo preconfezionato che sta vivendo una fase di inedita attenzione, grazie all’eterno successo social del voyeurismo alimentare e al fatto che viviamo in un’epoca in cui anche un biscotto gratis in prima classe sembra un prezioso riconoscimento del nostro status. Qui un articolo del New York Times racconta come molte compagnie aree si stiano progressivamente trasformando in veri e propri “ristoranti volanti”. Invece, su Il Post un articolo racconta l’evoluzione dei pasti in aereo e il complesso rapporto tra sapore e altitudine.
Come oggi, anche negli anni Sessanta i pasti in prima classe e business erano più elaborati e sfarzosi, ma un passeggero in economica poteva comunque avere un pasto di tutto rispetto: crema di pomodoro, carne di vitello con riso pilaf, insalata e dessert, il tutto accompagnato da una selezione di vini francesi.
Breve compendio dei vassoi preconfezionati per la cena: la famigerata tv dinner.
Salisbury steak tv dinner, una poesia:
everything spills over mashed potatoes and corn all coated with gravy so what is the point of the compartments because even if you didn't want gravy in mashed potatoes and corn it would still happen and the photo on the box would still be wrong.
Infine, la schiscetta reimmaginata da un’intelligenza artificiale:
Buon halloween, ci sentiamo fra due settimane!
Ciao, ti lascio una piccola chicca da nerd sulla "welness culture" dei Sim: un creator ha cercato di capire quali attività sportive facessero perdere più peso ai Sim. Buona visione: https://www.youtube.com/watch?v=yK_94ozCwX8
Mi è piaciuto molto l'articolo!