Ciao a tutti/e 👋
Eccomi di ritorno. Non so come sia possibile ma questa newsletter continua a crescere anche nei periodi meno produttivi. Non so cosa vi abbia convinti/e a iscrivervi ma grazie di cuore e benvenuti/e.
Come sempre qui sotto trovate una “piccola” riflessione, mentre in fondo vi ho lasciato un po’ di segnalazioni di cose che mi sono piaciute molto nelle ultime settimane.
Buona lettura!
Aiden Arata è un’artista americana. Il suo profilo Instagram raccoglie meme e collage digitali che raccontano l’alienazione contemporanea attraverso un’estetica soft Y2K e un po’ McBling. I suoi testi sono romantici e taglienti, impregnati di quel sarcasmo magico che da qualche tempo caratterizza il linguaggio dell’emotività online, al punto che il magazine Mashable l’ha recentemente celebrata come “la regina della depressione su Instagram”.
Tra i suoi lavori, i più famosi sono indiscutibilmente quelli contenuti nella serie Guided meditations, una collezione di video ipnotici che immergono l’utente in un flusso di asserzioni motivazionali e input visuali che riproducono un’esperienza dai contorni tanto specifici quanto universali tale da provocare un senso di nostalgia e déjà vu costante.
Camuffati da contenuti a metà tra l’ASMR e un pacchetto di sedute online di mindset coaching, le meditazioni di Arata infondono un disperato senso di languore, senza risparmiare il pubblico dal cinismo e dalle contraddizioni che i video mettono volutamente in luce: la precarietà delle città contemporanee, la mediocrità degli incontri interpersonali e gli esaurimenti nervosi del popolo dello scrolling.
Un aspetto che mi ha colpito molto dei video di Arata è il carattere intimo e insieme impersonale delle sue meditazioni, che permette a chi le guarda di oscillare a proprio piacimento tra una prospettiva interiore e un punto di vista esterno. È qui che il lavoro dell’artista americana mi sembra interpretare meglio il carattere ambiguo e complesso della memoria digitale, intesa non tanto come la capacità del web di contenere infinite informazioni codificate, quanto come la nuova natura di “inconscio collettivo” che gli spazi digitali stanno assumendo. Come si ricorda all’interno di uno spazio inorganico?
Secondo un famoso studio del 2013, il passaggio della memoria transattiva (interdipendente dai contesti collettivi) dalla dimensione offline (rete umana + tecnologie analogiche) alla dimensione online (rete + tecnologie digitali) avrebbe causato una progressiva distorsione della memoria umana, provocando una serie di alterazioni sia a livello quantitativo che qualitativo. Non solo deleghiamo sempre più informazioni alla memoria “esterna” del web, finendo per conservarne sempre meno in quella biologica “interna”, ma perdiamo anche la nostra metamemoria, che si traduce in una diminuzione di consapevolezza del limite tra il nostro punto di vista e quello esterno. Non sappiamo più quali ricordi appartengono a noi e alla nostra comunità e quali, invece, sono stati indotti dalla disponibilità di input online.
Come spiegano i ricercatori, il motivo di tale trasformazione va ricercato nella natura di internet, che viene classificato come uno “stimolo supernormale”, ovvero un prodotto in grado di ingannare i sensi e dirottare le scelte umane mostrando alcune qualità in misura spettacolare ed esasperata (“le infinite possibilità di internet”). Un esempio di stimolo supernormale è il junk food:
Gli “alimenti spazzatura” altamente processati fanno leva sulla tendenza adattiva a cercare zucchero e grassi, ma forniscono queste sostanze in quantità oscene. Quando le persone creano “stimoli supernormali” nel tentativo di soddisfare le proprie tendenze di selezione radicate, le qualità esagerate di questi stimoli possono provocare conseguenze negative, come l’obesità.
Da questo punto di vista, internet sarebbe il junk food della memoria, un prodotto superstimolante in grado di irretire i sensi e alterare profondamente la dimensione delegata del ricordo.
Online, la memoria è diventata un’esperienza in cui soggettività e universalità si confondono continuamente. Le guided meditations di Arata sono solo un esempio, ma basta pensare alla categoria dei POV (meme che giocano proprio sulla riconoscibilità dell’esperienza individuale) o ai video che stimolano un senso di nostalgia collettiva sfruttando composizioni di immagini generiche per accorgerci di come il nostro modo di ricordare stia cambiando profondamente.
RetroBizzarro è l’account Instagram di un artista italiano che gioca con il linguaggio delle fotografie analogiche per raccontare un passato italiano inesistente, proiettato in una dimensione onirica e talvolta inquietante grazie al calibrato intervento dell’Intelligenza Artificiale. Ogni scatto è familiare e irreale al tempo stesso, e mostra i confini sempre più labili tra rappresentazione tradizionale e immaginario artificiale.
La tecnologia, d’altronde, ha sempre prodotto un profondo impatto sulla memoria quanto sull’immaginazione, dall’invenzione della scrittura all’informatica. Come scrive Erik Davis nel suo Techgnosis (Nero Editions, 2023) quando indaga il rapporto tra le prime tecnologie dell’informazione e l’esperienza interiore:
Dagherrotipi, fonografi, telegrafi, telefoni: tutti questi mezzi ottocenteschi trasferiscono un pezzetto di anima in un artefatto o un messaggero elettrico. La storia dell’Io nell’era dell’informazione è perciò la storia dell’immagine residua della psiche, di quei riflessi e doppi virtuali che vengono esteriorizzati, o “esternizzati”, nelle tecnologie.
Deleghiamo allo stimolo supernormale un pezzo della nostra memoria e della nostra immaginazione, ieri come oggi.
Un elemento che mi affascina molto degli esperimenti di RetroBizzarro è la costante presenza di una componente animale, spesso esotica, probabilmente inserita proprio per segnalare il refuso, il miraggio.
Nel suo saggio Notes on the Underground. An Essay on Technology, Society, and the Imagination (che è anche lo studio critico più interessante che io abbia mai letto, senza esagerazioni) l’accademica Rosalind Williams esamina il rapporto tra la scoperta del sottosuolo e la nascita di una nuova immaginazione tecnologica, fatta di società sommerse, utopie tecnologiche e, soprattutto, di una nuova categoria estetica legata alla dimensione artificiale. Come si vive e cosa si immagina in un ambiente inorganico?
In un passaggio dedicato a una delle tante società del sottosuolo letterario che Williams analizza, quella raccontata da Gabriel de Tarde nel suo Underground Man (1896), l’accademica osserva:
In science, architecture, philosophy, painting, and literature, the underground dwellers find endless delight and intellectual pleasure in their artificial environment. Astronomers debate endlessly about the stars they never see, and artists sketch animals and landscapes more lovely than those that actually existed on the surface. The imperfections of nature are replaced by the perfections of culture.
Nel passaggio dal mondo organico a quello inorganico (il sottosuolo, internet, il centro commerciale) la cultura predomina sulla natura alterando definitivamente l’esperienza umana e la sua memoria. La natura è destinata a diventare una rovina, una reliquia del passato. Le immagini di RetroBizzarro mi colpiscono perché non raccontano solo un passato inesistente, ma una natura fittizia e implausibile, immaginabile solo nella dimensione sotterranea e inconscia dell’Intelligenza Artificiale.
In un altro passaggio, Williams esamina la parabola che quasi tutti i popoli del sottosuolo sono costretti ad affrontare: diventando sempre più dipendenti dalla tecnologia si indeboliscono, perdono forza, lucidità, immaginazione. Anche Davis la pensa così, ripetendo spesso che “le tecnologie estendono i nostri poteri creativi amputandoci quelli naturali” anche se, nel suo saggio, è il primo a ricordare che, quando siamo immersi in ambienti impersonali e meccanizzati e di fronte a “tecnologie altamente esaltanti”, finiamo per reagire con un un nuovo e inesorabilmente desiderio di sovrannaturale.
Quanto, la nostra immaginazione, dipende ormai dalla tecnologia? Come vivremo e cosa immagineremo in un ambiente sempre più inorganico? Come ricorderemo?
💧 Cose che ho consumato negli ultimi giorni:
Un podcast che ho scoperto per caso e che sta rendendo questo strano inverno più piacevole: Il Gabinetto delle Meraviglie. È interessante, è spontaneo e racconta storie di oggetti incredibili.
Invece un podcast che probabilmente già conoscete tutti/e ma che io ho scoperto solo poche settimane fa: Camposanto. Parla di cimiteri e cita spesso Buzzati, due cose che mi rendono molto felice.
Bartleby, o l’archeologia della morte su Il Tascabile
Se qualcuno invece volesse organizzarlo a Roma, il book party è il mio vero sogno
Questo account Instagram sulle spirali
Alla prossima!