Ciao a tutti/e 👋
Pochi giorni fa è andato online il nuovo sito di Not, la rivista digitale di Nero Editions. Ho avuto il piacere di contribuire alla prima issue con un articolo sulla nostalgia del vecchio web di cui trovate un estratto qui sotto, se vi piace potete continuare a leggerlo sul sito di Not. Un ringraziamento speciale va a
per avermi coinvolta in questo progetto.Come al solito in fondo trovate una lista di consigli e letture!
Fantasy Internet Simulator è un’applicazione in grado di teletrasportare chiunque la utilizzi nel web del 1996. Si tratta di un browser fittizio che, una volta immesse le parole chiave di ricerca, permette all’utente di navigare in uno spazio virtuale, remoto e nostalgico, fatto di layout minimali, colori vivaci e titoli lampeggianti in Comic Sans e Times New Roman. Sulla pagina Github dell’americano Nate Parrott, programmatore dell’applicazione, si possono ammirare alcuni dei siti scoperti attraverso il browser: una bacheca digitale per ritrovare sconosciuti in cui ci si è imbattuti per strada, una vecchia versione del New York Times, un portale che offre traduzioni online.
Man mano che si scorre l’inventario, emergono homepage sempre più bizzarre: un forum di cultura romana moderato da JuliusCaesar, e Vitruvius, un listino immobiliare per acquistare chalet e palazzi reali sul pianeta Naboo e una serie di pagine web in cui F.A.Q. e avvisi di manutenzione contengono insulti nei confronti dell’utente. Leggendo le indicazioni di Parrott, si scopre che il browser non attinge le informazioni dagli archivi del Web, ma dall’inventiva di ChatGPT: le parole chiave inserite nelle ricerche, infatti, non sono altro che prompt attraverso cui l’Intelligenza Artificiale restituisce all’utente una versione alternativa del web anni Novanta; uno spazio in cui l’estetica del primo internet si trasforma in un espediente visuale per la costruzione di una nuova dimensione bizzarra e arbitraria.
L’applicazione è ancora in fase sperimentale, e con ogni probabilità è destinata a rimanere tale, ma l’idea di Parrott resta interessante per la sua capacità di interpretare uno dei tratti salienti del clima culturale online degli anni post-pandemici: la nostalgia del vecchio internet. E, in particolar modo, l’utilizzo della nostalgia come strumento di creazione di nuovi immaginari digitali. Quando si parla di “vecchio internet” spesso si intende un insieme molto eterogeneo di caratteristiche e comportamenti che afferiscono alle prime fasi del Web di massa: sul piano estetico, è quella dimensione del design che combina elementi ruvidi e amatoriali, come foto in bassa risoluzione, gif animate e font di sistema. Ma il più delle volte l’aspetto visivo non è altro che il catalizzatore simbolico che permette di sbloccare un ricordo: quello di una navigazione libera e avvincente all’interno di un web disordinato e multiforme. Più che mai, “vecchio internet” è diventato sinonimo di un’antica forma di esistenza in rete, un approccio primitivo all’utilizzo dello spazio online che nel pantheon delle memorie digitali è rappresentato dalla sacra triade delle prime reti virtuali: MySpace, Geocities e, naturalmente, Tumblr.
Secondo la pagina di Aesthetics Wiki dedicata alla cultura dell’Old Web, la nostalgia per l’internet del passato abbraccia un periodo relativamente ampio dello sviluppo del web, dagli anni Novanta al primo decennio dei Duemila, concentrandosi soprattutto su quella fase che ha preceduto l’arrivo delle piattaforme mainstream e delle app di social network. Come si legge sul portale, infatti, Old Web è la celebrazione dei giorni «dell’individualismo disinibito della vecchia rete, prima che internet diventasse uno spazio razionalizzato e i social media monopolizzassero il modo di comunicare tra persone, e prima che il web graphic design sviluppasse un insieme di regole rigorose finalizzate all’accessibilità e al marketing».
Un esempio concreto della cultura Old Web è proprio la nostalgia per i primi anni di Tumblr, la piattaforma di microblogging che, a partire dal 2007, ha permesso a migliaia di giovani utenti di creare il proprio spazio virtuale, esplorando le infinite possibilità di personalizzazione della pagina attraverso l’utilizzo di template e codici semplificati. Erano gli anni del boom del personal blogging e Tumblr era la cameretta virtuale per eccellenza: uno spazio di autorappresentazione, collezione e condivisione libere, sotto il segno di una nuova forma di creatività digitale, fatta di collage, fermo immagine cinematografici e scatti amatoriali. A differenza dei suoi competitor, come MySpace, LiveJournal e Splinder, Tumblr era anche il luogo dove i più bizzarri interessi e sentire identitari di nicchia potevano trasformarsi in vere e proprie sottoculture digitali, condivise e partecipate da centinaia di utenti in tutto il mondo.
Come racconta il giornalista Kyle Chayka in un articolo sul New Yorker, infatti, Tumblr è stato il luogo d’origine di alcune delle sottoculture più originali e prolifiche della rete, come i Bronies (fan maschi del cartone animato My Little Pony) e gli otherkin (persone che si attribuiscono un’identità non umana), ma anche — come osserva la pagina di Aesthetics Wiki dedicata alle estetiche 2014 Tumblr — la stessa Vaporwave e la sottocultura VSCO, che trae il proprio nome dall’omonima app di photo editing a tinte soffuse. La celebrazione nostalgica delle ere passate di Tumblr racchiude quindi un’indicazione specifica sugli aspetti del vecchio internet di cui si sente maggiormente la mancanza: in particolare, quella qualità aperta e potenzialmente illimitata del web stesso e dell’identità dell’individuo al suo interno. Su Tumblr potevi essere chiunque (da un Bronie a una VSCO girl) oppure nessuno (un nickname e un avatar irriconoscibili nella folla), senza il timore di sorveglianze algoritmiche, profilazioni costanti e pubblicità moleste.
Non è un caso che la nostalgia per Tumblr e per l’Old Web sia esplosa proprio durante il lockdown pandemico, quando la rigidità delle restrizioni calate dall’alto ci ha portati indietro nelle nostre camerette, che sono tornate a essere l’unico luogo di espressione e osservazione del mondo circostante, agevolando la rievocazione di una sensibilità digitale propria soprattutto di coloro che hanno vissuto le prime esperienze online durante la pubertà e l’adolescenza. Privati di prospettive future, ci siamo ritrovati a volgere lo sguardo al passato, dove ad attenderci non c’erano più solo teneri ricordi d’infanzia e album di famiglia da sfogliare, ma soprattutto un mondo di intimità informatica sotto forma di prolissi blog personali, collezioni di screenshot e animazioni Flash.
Sarebbe sbagliato, però, credere che Old Web si riduca a Tumblr. Anzi: negli anni, Tumblr è diventato, contemporaneamente, oggetto di nostalgia e strumento di collezione e curatela individuale di tutte le nostalgie del vecchio web, al punto che è sempre più difficile tenere traccia della stratificazione del pensiero malinconico all’interno della piattaforma.
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Il 21 e il 28 marzo dalle 17 alle 20 presso l’aula 16 del Dipartimento Fil.Co.Spe. di Roma Tre (Via Ostiense 236) ci saranno due appuntamenti importanti: il primo per parlare di Gender tech con
, il secondo di Exit reality con . Gli incontri fanno parte del Laboratorio di tecnologia, cultura e società a cura di Teresa Numerico e rappresentano una preziosa occasione di confronto e discussione aperta a tutti e tutte.Spero di vedervi!
💧 Consigli e cose belle che ho consumato negli ultimi giorni:
Se avete letto il mio articolo su Not avrete sicuramente esplorato alcuni degli archivi più interessanti del vecchio web. Ne aggiungo uno che non ho inserito nel pezzo: Web Design Museum, in cui potete trovare una raccolta esaustiva di siti, applicazioni e software dell’internet del passato. Potete anche seguirlo su instagram o su threads.
Titoli belli che trovate (o troverete presto) in libreria: Social. L’industria delle relazioni (Einaudi) di Gabriella Taddeo e (in pre-order) Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla (Chiarelettere) di
Anni fa ho scoperto che i corvi sono in grado di memorizzare i volti umani, classificarli a seconda del loro comportamento e trasmettere questa informazione ai propri discendenti per generazioni. Da quel momento, ogni volta che vado al parco porto con me un po’ di pane per sfamare i corvi e le cornacchie nei paraggi, nella speranza che mettano una buona parola per me con i loro figli e che si schierino al mio fianco al momento della resa finale. Fantasie a parte, vi consiglio di leggere questo bellissimo articolo di Ben Crair sul New Yorker sulla mente dei corvi e su come il loro comportamento dovrebbe invitarci a ripensare il concetto di intelligenza.
Evolution had empowered crows to expose the weak spots in our designs, and I found myself admiring their mischief as a rebellion against our hubris. “Crows and ravens have co-evolved with us since the time of Neanderthals, and yet we’ve never domesticated them,” Marzluff, the Seattle ecologist, told me. The real mark of crow genius may be its ability to maintain independence in spaces that humans think of as their own.
Una cosa da scrivere sullo specchio e ripetere ogni mattina come un mantra: NOBODY KNOWS HOW AI ACTUALLY WORKS. Lo conferma la comunità scientifica in questo articolo su Futurism.
Rimaniamo sull’intelligenza artificiale. Come riporta questa inchiesta su The Atlantic un enorme data center di Microsoft in Arizona sta consumando l'approvvigionamento idrico di un’intera cittadina:
AI didn’t create these problems, but it’s certainly making them worse. According to Walsh, AI applications are among the most computationally intensive that Azure supports, which creates a need for more data centers overall while also upping the energy and cooling demands at each one. On top of that, generative-AI applications in particular can be orders of magnitude more energy-intensive than the predictive-AI applications that came before. “We still don’t appreciate the energy needs of this technology,” OpenAI CEO Sam Altman said in January at Davos. “There’s no way to get there without a breakthrough.” In the meantime, tensions over data centers’ water use are cropping up not just in Arizona but also in Oregon, Uruguay, and England, among other places in the world.
Questo:
Nuovo giorno, nuovo caso di mediocrità premium: la mini shopper bag di Trader’s Joe
Su Link Idee per la tv è uscito un interessante articolo di Arianna Caserta sull’interpassività e le strategie di difesa dall’iperstimolazione audiovisiva
La mia amica Arianna mi ha segnalato questa puntata del podcast Everything Marti di Martina Guzzoletti in cui si parla di weirdcore, mystic-posting e nostalgia per l’ignoto e in cui viene citata anche l’ultima puntata di Una goccia (ma in realtà c’è molto di più). Non conoscevo questo podcast, è stata una bella scoperta.
Anche l’ultimo numero di
cita Una goccia. Oltre a un accenno alla foresta oscura del web trovate molte riflessioni interessanti:Per concludere, eccoci qui:
Per oggi è tutto, ci sentiamo tra due settimane :)
L'articolo è stato un tuffo fantastico. Grazie anche per avermi fatto scoprire parole come Newstalgia, Anemoia e Heimat. Mi hai aiutato a costruire un vocabolario che non immaginavo di dover avere (e che mi ha fatto capire cosa ho provato quando ho aperto l'homepage di SpaceHey!).