Pochi giorni fa la casa editrice indipendente Metalabel ha pubblicato una delle antologie più interessanti sul sottobosco culturale del web: The Dark Forest Anthology of the Internet. Purtroppo è già sold out (con mio grande rammarico non ho fatto in tempo a comprarla 💔) ma fortunatamente molte delle risorse che raccoglie provengono da articoli disponibili online già da qualche tempo. Alcune le commenterò direttamente in questo numero della newsletter, le restanti le trovate in fondo, prima dei consueti consigli di lettura.
Il concetto di foresta oscura è stato formulato dallo scrittore di fantascienza Liu Cixin nella trilogia Il problema dei tre corpi per esplorare i limiti dello sguardo umano di fronte al mistero cosmico. In un universo immenso e apparentemente silente, infatti, la terra apparirebbe come l’unico centro vitale, il solo e indiscutibile motore di progresso e cultura. Per Cixin, però, lungi dall’essere uno spazio vuoto e inabitato, l’universo sarebbe invece paragonabile a una selva oscura, un ambiente labirintico pullulante di organismi e creature illuminate che hanno deciso di nascondersi da forestieri e potenziali predatori per proteggere la propria libertà. Solo la terra, argomenta Cixin, è così stolta da esibire con leggerezza la propria vitalità, ma arriverà il giorno in cui capirà che la migliore strategia è confondersi nel buio e imparare ad agire sottotraccia.
Secondo una riflessione pubblicata nel 2019 da Yancey Strickler, fondatore di Kickstarter e autore della newsletter
, anche internet sarebbe diventato una foresta oscura.In response to the ads, the tracking, the trolling, the hype, and other predatory behaviors, we’re retreating to our dark forests of the internet, and away from the mainstream.
La foresta oscura del web è lo spazio spontaneo e indulgente dei podcast e delle newsletter, dei profili anonimi e delle chat private, dei social network di nicchia e di tutti quegli spazi protetti dall’indicizzazione, dall’ottimizzazione e dalla ludicizzazione che caratterizzano invece le principali piattaforme big tech fatte di brand, influencer e tendenze.
The Web 2.0 era has been replaced by a new Web² era. An age where we simultaneously live in many different internets, whose numbers increase hourly. The dark forests are growing.
Mentre Strickler teorizzava per la prima volta la foresta oscura del web, non sapevamo ancora nulla della pandemia e di come avrebbe trasformato le nostre vite, online e offline. Non sapevamo che l’imminente successo di TikTok avrebbe cambiato per sempre il nostro rapporto con i social media, che la decentralizzazione sarebbe diventa il principale argomento a favore del Web 3, del metaverso e della crypto economy e che, nonostante l’apparente enshittification delle piattaforme, le forme dominanti di socialità virtuale avrebbero trovato nuovo slancio nei sentimenti di fomo e di solitudine prodotti dal lockdown.
Non è un caso che il discorso sulla foresta oscura del web abbia impiegato così tanto tempo a riemergere, anche se il dibattito sulle alternative al modello mainstream non si è mai spento negli ultimi anni. Dopo l’isolamento, la nostalgia, i buoni propositi e le profonde crisi, oggi siamo finalmente pronti a discutere nuovamente di spazi sotterranei e di nuove nicchie, di sottoculture estetiche e di altre geografie del web.
La prima volta che mi sono imbattuta nell’ipotesi di Strickler sulla foresta oscura è stato attraverso un approfondimento di Venkatesh Rao, altro autore citato nella raccolta di Metalabel, nonché teorico del web famoso per aver coniato il concetto di premium mediocrity. In un denso articolo sul suo substack, Rao confronta la teoria di Strickler con la sua idea di cozy web, un concetto molto simile a quello del fondatore di Kickstarter, che Rao propone di inserire all’interno di una mappa estensiva per comprendere l’espansione culturale ed economica di internet.
[The cozy web] lives in a high-gatekeeping slum-like space comprising slacks, messaging apps, private groups, storage services like dropbox, and of course, email.
Chi vuole perdersi nella mappa di Rao e nella sua spiegazione troverà molti stimoli interessanti. Personalmente trovo utile fare riferimento alla semplificazione operata da Peter N Limberg, altro autore dell’antologia, che riduce lo schema di Rao individuando tre spazi principali: il clearnet (o surface web) ovvero lo spazio pubblico e accessibile del web, ormai dominato dalle big tech (assimilabile al regno del mediocre che Rao riconosce nell’adtech), la foresta oscura (o cozy web), ovvero l’insieme degli spazi e delle pratiche che attivano una socialità alternativa a quella delle piattaforme mainstream e il darknet, l’internet anonimo della droga, della pornografia, dei dissidenti politici e molto altro.
La foresta oscura è quindi una zona di mezzo, il punto di contatto tra architetture e forme di vita virtuali divergenti: tra l’anonimato e la visibilità, l’improduttività e l’imprenditoria, le forme d’espressione clandestine e il linguaggio nitido e accattivante del commercio; è uno spazio sostenibile di socialità e produzione online, il luogo dove le possibilità tecnologiche vengono coltivate e reinventate per costruire nuove comunità e significati condivisi che rifiutano il consumo come collante sociale. È un’utopia concreta fuori dalla nostalgia e dall’advertising, dalla decadenza e dal personal branding. La foresta oscura è uno spazio fondamentale, che oggi più che mai dovremmo abitare e imparare a proteggere dall’avanzare assiduo e impietoso della superficie mainstream.
Come in ogni storia di boschi e creature selvatiche che si rispetti, infatti, la foresta oscura è costantemente sotto minaccia. L’accordo da 60 milioni di Reddit che prevede la vendita dei dati degli utenti per l’addestramento di un’AI è l’esempio perfetto della precarietà dei rifugi digitali in un panorama finanziario dominato da regole di mercato univoche, le stesse che permettono sempre più frequentemente all’attivismo e alle sottoculture digitali di venire fagocitati dal linguaggio pubblicitario delle grandi aziende.
In questo panorama, uno dei saggi più interessanti dell’antologia è sicuramente Holographic media di Caroline Busta e Lil Internet, all’interno del quale l’essenza della foresta oscura viene individuata non tanto negli spazi alternativi del web, ma nelle pratiche promosse e condivise dalle community online a prescindere dal contenitore in cui si trovano.
Abitare la foresta oscura non significa necessariamente rifugiarsi in ambienti digitali di nicchia, ma saper utilizzare linguaggi e “protocolli” — ovvero set di regole condivise dai membri di una determinata comunità — in grado di sfuggire al controllo degli algoritmi delle piattaforme. Emoji, metafore, collage, neologismi, pseudonimi: sono tutte pratiche che contribuiscono a trasformare le community stesse in media, sostituendo la comunicazione uniforme e convenzionale del clearnet con un intreccio di scambi olografici in grado di attivarsi attraverso la partecipazione. Insomma, Meta potrà pure comprarsi tutte le piattaforme competitor e impedire lo sviluppo di nuovi social media, ma se le comunità impareranno a sviluppare il proprio linguaggio segreto sarà molto più difficile appropriarsene e piegarlo alle regole commerciali imposte dall’azienda.
We might even say that the community itself becomes a form of media, a holographic filter through which every platform is accessed and where individuals with strong connections across multiple communities become literal inter-faces for information.
Invece di giocare secondo le regole di quella che Busta chiama la “fisica delle piattaforme”, ovvero il modo in cui ogni medium è programmato e che determina il suo utilizzo da parte degli utenti, bisogna quindi agire trasversalmente, «pensare meta, non Meta», come suggerisce l’autrice.
Secondo Busta, la foresta oscura è la vera controcultura del web, anche se si tratta di una controcultura meno plateale e visibilmente partecipata rispetto all’immaginario anticonformista anni Sessanta a cui abbiamo imparato ad associare il concetto. Ciò che la rende controculturale non è la sua compattezza stilistica o la sua marcata riconoscibilità, ma l’esatto contrario: è la sua volontà di sottrarsi all'economia dell'attenzione e alla logica estrattiva della comunicazione mainstream, di rivendicare la privacy come bene pubblico e un’esistenza digitale non commercializzata. Quando questa visione si radica in una cultura trasversalmente condivisa da utenti in tutto il mondo, la foresta oscura continua a crescere.
Personalmente, credo che il concetto di foresta oscura ci aiuti soprattutto a ricordare che la coesione online dipende in primo luogo dal modo in cui creiamo comunità, e solo dopo dagli spazi che abitiamo. La storia del web è piena di esempi di contenitori digitali che hanno assistito alla nascita di aggregazioni e scambi costruiti giocando secondo regole diverse da quelle previste inizialmente dagli sviluppatori.
In ultima istanza, non è il design di Tumblr, di Reddit o di MySpace a fare la socialità, ma la capacità delle comunità di trovare la propria strada verso l’autodeterminazione sfidando limiti strutturali e aggiornamenti, algoritmi e banner pubblicitari. Da questo punto di vista, la foresta oscura serve soprattutto a rivendicare il proprio modo di esistere nei diversi spazi virtuali, oltre che a crearne di nuovi.
Guardando alla letteratura, la storia delle selve oscure e degli abitanti che vi si nascondono è spesso una storia di isolamento e di resistenza, di una lotta all’autopreservazione che non può scendere a patti con il mondo esterno. È forse qui che risiede la sua sfida più importante, nella tensione tra la conservazione e la capacità di agire fuori dalla propria nicchia. Ce lo insegna il bosco vecchio di Buzzati, così come i racconti di Abraham Merritt (The Women of the Wood), di Montague Rhodes James (A Neighbor’s Landmark) e di Alphonse Daudet (Wood'stown).
In quest’ultimo, una nuova cittadina viene costruita sulle rive di un fiume dove prima albergava una foresta. Il nuovo centro abitato, Wood'stown, non si è impradronito solo degli spazi del bosco, ma della sua stessa sostanza organica: ogni edificio, strumento e mobilio è stato realizzato con il legno ricavato dagli alberi abbattuti.
Sarà proprio la materia estratta a ribellarsi per prima, innescando una forza autonoma e sovversiva che ribalterà le sorti della cittadina costringendola a tornare al suo stato naturale: le case verranno riassorbite nella vegetazione, mentre gli alberi costretti ai margini della cittadina riprenderanno ad avanzare fino a toccare nuovamente la riva del fiume. Se c’è una metafora a cui mi piace pensare in questo momento, forse è proprio questa: la foresta che si anima e si muove, che prende spazio e che trasforma, non solo quella che impara a confondersi nel buio e ad agire sotto traccia.
Di seguito trovate le altre risorse disponibili online e presenti nell’antologia, prego in una ristampa per poter leggere gli altri saggi, mentre qui c’è la lista completa che include anche le risorse presenti esclusivamente nell’antologia.
The Dark Forest and Cozy Web di Maggie Appleton
Chapel Perilous di Peter N Limberg e Rebecca Fox
Moving Castles di Arthur Roing Bear e GNV908
💧 Cose che ho consumato negli ultimi giorni:
La mia nuova casa editrice preferita a mani basse: ABEditore. Sono talmente fan che non ho parole. I tre racconti sulle foreste citati poco fa vengono da questa antologia che ho finito di leggere proprio mentre decidevo di dedicare il numero di oggi alla foresta oscura.
TikTok Is For Millennials, It Turns Out di Garbage Day è uno degli articoli più interessanti degli ultimi mesi sul tema della cultura digitale. Dal mio punto di vista, l’aspetto più rilevante non è tanto che i Millennial usano TikTok più dei Gen Z, ma che si tratta dell’ennesima prova che i primi proiettano le proprie preferenze culturali sui secondi contribuendo a plasmare l’immagine di una generazione che esiste solo relativamente in quei termini (ma non è così che funziona l’intero processo di costruzione delle coorti generazionali come cluster commerciali e culturali?)
There’s a surprising amount of evidence that most Gen Z culture is actually just millennial culture. Almost half of TikTok users are over 30. The average Shein customer is 35 years old. More than half of Taylor Swift’s fans are over 35. And one of Temu’s biggest demographics is moms. In the ultimate act of millennial narcissism, they are now just writing trend pieces about themselves and projecting it onto young people.
Su Link idee per la tv è uscito un articolo molto interessante di Simone Natale su macchine e inganno banale (il suo è uno dei miei testi preferiti sull’intelligenza artificiale, ne ho parlato qui)
L’intervista a Laila Al Habash su Rockit
Dire che non si devono uccidere 9000 bambini in quattro mesi non può essere un’affermazione controversa e il fatto che per una certa parte della nostra opinione pubblica lo sia, dà la misura di quanto siano disumanizzati i palestinesi e di quanto razzismo c’è nei confronti loro, degli arabi e dei musulmani in generale. L’odio verso i musulmani non è minimamente percepito come una cosa problematica in occidente, mentre l’odio verso i credenti in qualsiasi altra religione è giustamente inaccettabile.
Gli studenti di un’università canadese hanno scoperto che uno dei distributori automatici nell’edificio nascondeva un’app di riconoscimento facciale
Questa lunga inchiesta di Viola Stefanello sull’artigianato come hobby su Il Post (c’è anche una mia piccola testimonianza)
Una foto bella senza lo zampino dell’AI:
Ho finito lo spazio a disposizione, alla prossima! 👋
Grazie! È stata una lettura preziosa.