A dodici anni, avevo già iniziato a usare internet come se fosse Pinterest, e come in seguito avrei utilizzato anche Instagram. In quel periodo, le mie attività si concentravano principalmente su due forum: Manga Italia e quello dedicato alla prima edizione di Saranno famosi, il talent show che l’anno successivo sarebbe diventato noto come Amici di Maria De Filippi. Oltre a discutere nei threads dedicati ai singoli concorrenti o ai migliori fumetti shoujo pubblicati in Italia, il mio passatempo preferito era esplorare le conversazioni in cerca di immagini inedite da stampare e collezionare. Copertine dei miei manga preferiti, scansioni delle vignette più belle, fermoimmagine inediti delle puntate del talent: Antonella Loconsole che canta, Marianna Scarci impegnata in una sequenza di piroette, Andrea Cardillo.
Trascorrevo interi pomeriggi chiusa in cameretta a ritagliare con cura foto e illustrazioni fresche di stampa, a dividerle in raccolte tematiche, per poi decidere come conservarle o trasformarle: alcune finivano in una scatola di legno che custodivo nel cassetto del comodino, da dove avrei potuto sfogliarle ogni notte prima di andare a dormire; le altre, invece, venivano organizzate in un raccoglitore o diventavano materiale per comporre dei collage sul mio diario scolastico, delle proto-moodboard da sfoggiare tra i banchi di scuola per esibire i miei interessi.
Al tempo non potevo saperlo, ma quell’improvvisa disponibilità di frammenti di informazione digitale da collezionare, manipolare e riorganizzare, stava già preparando un’intera generazione – la stessa a cui appartenevo anche io – a una forma di elaborazione e personalizzazione del contenuto che ben presto sarebbe diventata l’essenza stessa dell’attività online, una delle sue derive più controverse e al contempo la sua unica salvezza: la curatela digitale.
La scorsa settimana, la newsletter di Dazed Studio ha annunciato che l’epoca dei maker e dei creator è finita: oggi siamo tutti curatori di contenuti digitali.
Today, being a curator is no longer a title reserved for revered intellectuals in the Art world, it is a new way of being - for everybody, a new core function of how we exist.
First came the influencer economy, then the current creator economy reaching its apex with Mr. Beast spending $4.2m on a single video creation…now we have the rise of archivists and observants. Those curating facts and hard to find content have risen to the top of the online and offline status rankings.
In realtà, la curatela ha sempre fatto parte di internet, dalle prime library virtuali che permettevano agli utenti di condividere selezioni di link web, fungendo da precursori degli odierni motori di ricerca, all’evoluzione dei social media visuali con le loro board, i loro tumblr, i loro caroselli devoti alla scrematura, la raccolta e la riproposizione personale di immagini, meme, sensazioni e concetti.
Se nelle prime fasi della socialità online curare contenuti significava soprattutto costruire rappresentazioni della propria identità – o di un’identità simulata a cui si desiderava aderire – attraverso la combinazione di prodotti e raffigurazioni estratti dalla cultura di massa (dal tumblr fatto di languide citazioni cinematografiche della Nouvelle Vauge alla cartella Pinterest con le ispirazioni per creare un look anni Novanta), oggi si tratta di un pratica ben più estesa e articolata. Non curiamo solo playlist, collage di immagini e pagine web amatoriali, ma anche informazioni, idee, estetiche e qualsiasi elemento, materiale o astratto, contribuisca alla costruzione di un’esperienza.
La curatela è la pratica attraverso cui ci prendiamo cura del nostro doppione digitale e dello spazio che abbiamo costruito per comunicare e condividere pensieri, idee, valori. Soprattutto, oggi è l’ultima frontiera dell’espressione online perché è l’unico gesto, ripetitivo e rassicurante, attraverso cui riusciamo ancora a trovare noi stessi – ovvero ciò in cui ci identifichiamo – nel tentativo di isolare il rumore di sottofondo generato dall’incessante produzione di contenuti.
Di fronte al sovraccarico di informazioni e all’insinuarsi di agenti artificiali nelle piattaforme che usiamo quotidianamente, la curatela diventa uno dei pochi strumenti che abbiamo a disposizione per setacciare il frastuono, riprendere il controllo e affermare l’esistenza di un’agire personale, o quantomeno umano, attraverso la manifestazione di una scelta, l’indizio di una volontà o di un gusto non automatizzati che trova la sua evidenza nella peculiare modalità in cui ognuno di noi è in grado di riconfigurare una collezione di contenuti.
Per questo, la curatela digitale oggi gioca un ruolo importante anche sul piano socio-culturale, oltre che personale. Come afferma Kyle Chayka in un approfondimento sul New Yorker:
Curators slow down the unending scroll and provide their followers with a way of savoring culture, rather than just inhaling it, developing a sense of appreciation.
Secondo Chayka e Dazed Studio, curatore non è solo l’utente medio, ma soprattutto chi, attraverso il proprio filtro, è in grado di distinguere il proprio punto di vista e proporsi come guida per un pubblico sempre più confuso e stressato. In poche parole, i curatori sono i nuovi influencer, ma soprattutto i nuovi critici culturali: la curatela digitale, infatti, non nasce solo da una crisi delle piattaforme, ma anche dei media. In uno scenario competitivo che premia soprattutto la capacità di un prodotto editoriale di generare traffico (e possibilmente profitto) attraverso contenuti costruiti con lo scopo di catturare l’attenzione del pubblico, la figura del critico, un tempo punto di riferimento per orientarsi nel flusso di idee e prodotti culturali, è stata progressivamente sostituita da un approccio indiscriminato e al tempo stesso sensazionalista al contenuto: al posto dell’opinione, dello sguardo affilato, della recensione e dell’interpretazione sono subentrati i titoli clickbait, le pillole informative, i meme e gli screenshot.
In poche parole, mentre gli utenti cercano di abbracciare la curatela dal basso come antidoto ai bot e al giornalismo virale, i contenitori autorevoli sono stati fagocitati dalla snippet culture.
Lo snippet è un ritaglio, un frammento, una citazione. È anche il nome degli scampoli di informazione che visualizziamo durante una ricerca online, le anteprime che racchiudono il motivo per cui un contenuto dovrebbe interessarci rispetto a un altro. La snippet culture descrive quindi una nuova forma di rappresentazione e di consumo dei prodotti culturali e informativi: è la frase incisiva che domina la prima slide di un carosello su Instagram, il culmine di un brano musicale che si presta a essere ascoltato all’infinito (e a fare da sottofondo a un reel), la citazione cinematografica da condividere ad nauseam. Questi frammenti, pur essendo solo una parte del tutto, assumono nel tempo – un tempo che si contrae fino a diventare quasi istantaneo – un’identità che si sovrappone al contenuto originale, conferendogli una nuova essenza sintetizzata. In questo contesto accelerato, l’articolo di approfondimento si riduce al suo titolo, la canzone e il film si condensano nella loro citazione più evocativa, e un libro si identifica con la sua proposta di valore più diretta e predisposta a una comunicazione commerciale.
La curatela, che vorrebbe offrirsi come soluzione per orientarsi tra queste briciole culturali e permettere a ognuno di scegliere quale contenuto assaporare più a lungo, o di quale assaggiare almeno un boccone nutriente, è essa stessa figlia della snippet culture e, in quanto tale, deve la sua esistenza al medesimo circolo vizioso di sintesi e novità che alimenta l’infinito riciclaggio degli scampoli e delle citazioni.
La necessità collettiva di filtrare, selezionare e ricondividere è sintomo di un adattamento al sovraccarico, ma non costituisce necessariamente una strategia di contrasto e resistenza. Questa newsletter ha senso di esistere fintanto che continueranno a emergere nuove tendenze ed espressioni digitali da raccontare e trasformare in un contenuto per gli iscritti. Analogamente, il ruolo del curatore virtuale rimane rilevante fintanto che la necessità di organizzare e discernere l’abbondanza di input informativi rimane un’esigenza costante. In un’epoca in cui la cultura non viene più prodotta per durare, la preminenza della curatela emerge come uno dei segni più chiari di questo mutamento.
Affermare che tutti siamo diventati curatori, indipendentemente dal grado di influenza esercitato, solleva questioni che meritano un’indagine più approfondita. Anzitutto, la democratizzazione e la decentralizzazione della curatela trasformano la cultura in uno dei tanti gadget con cui accessoriare una personalità online, o un vero e proprio brand. Come racconta un articolo su Highsnobiety, la curatela oggi è soprattutto una strategia commerciale che permette ai marchi di spostare il focus dal prodotto materiale (finito, costoso, obsolescente) all’esperienza (effimera ed eterna), che trasforma il marchio in un entità più grande delle sue merci, partecipando alla costruzione di una relazione intima e profonda con il pubblico. Produrre cultura (estendendo il proprio impatto attraverso eventi e collaborazioni), o riciclarla (riproporre prodotti e messaggi legati alle fasi precedenti della vita del brand trasformandoli in simboli culturali, icone), è il nuovo linguaggio del consumo:
When brands moved from manufacturing products to manufacturing culture, design, luxury and art, curation zoomed onto taste, aesthetics, identity and social status. Curation became the fuel of modern culture: it is indispensable in the cultural landscape where products, people and experiences are all comparable in value: a concert can be equally desirable as a bottle of vintage bourbon as a pair of rare sneakers. It is not hard to see how this crowded cultural landscape can lead to the consumer choice overload, and why curation gained prominence as the obvious way out of it. The role of a curator is to sort through culture and show us what we need to know and why.
Nell’articolo viene suggerita la necessità di una “curatela della curatela”. L’infinito gioco combinatorio di pseudo-cultura e pseudo-avvenimenti profetizzato da Baudrillard diventa l’essenza stessa della nostra attività online: tutto è ridotto a frammenti di codice manipolabili e consumabili all’infinito. Significa che la curatela è la nuova creatività, che l’arte combinatoria coincide con la creazione. In un contesto in cui è sempre più difficile costruire terzi spazi digitali, ovvero contenitori di scambio e socializzazione reali, la curatela e la snippet culture definiscono la qualità della partecipazione e delle interazioni online, dando vita a un flusso inesauribile di collezioni di screenshot, caroselli di vibes, liste di consigli di prodotti culturali da consumare e riciclare a propria volta.
Siamo curatori perché c’è troppo contenuto, perché cerchiamo esasperatamente una forma di distinzione dall’intelligenza artificiale (la curatela umana) e dagli altri, perché – come spiega Kenneth Goldsmith nel suo manuale di scrittura non creativa – quando la gerarchia collassa diventiamo geni non originali, accumulatori di linguaggio, curatori di contesti. Potrebbe avere ragione lui, che nel trionfo del pastiche, del plagio, del bricolage e addirittura dell’automazione intravede l’orizzonte di una liberazione artistica e culturale, o forse ci avviciniamo a uno scenario simile a quello descritto da Chayka, che nella morte dell’autorialità e nel sovraccarico informativo ravvisa la possibilità che ognuno di noi partecipi con un ruolo assimilabile a quello di un commesso in un grande negozio ricco di scelta e novità. O forse, è il naturale corso della società del consumo baudrillardiana, di cui la curatela è solo l’ultima manifestazione: tempo libero fagocitato dell’infinito gioco della ricombinazione dei segni del consumo (informativo, culturale, commerciale). Ogni direzione solleva interrogativi sul futuro, sulla nostra capacità di scelta, sull’impatto che questo ennesimo, impercettibile, movimento a lato della nostra partecipazione digitale produrrà sulla nostra esistenza, ormai indissolubilmente intrecciata a quella dimensione virtuale su cui abbiamo investito tutto, la nostra personalità, il lavoro, la collezione di idee, di ricordi e di tutti quegli elementi che contribuiscono a farci sentire presenti nel mondo, di produrre senso, di avere senso. Su una cosa, però, Goldsmith ha sicuramente ragione: non c’è via di ritorno.
Grazie per aver letto fin qui. Una goccia si ferma per l’estate. Per leggere, riflettere, scrivere cose nuove, staccare, evitare di sovrapporre il mio rumore all’incessante sottofondo del web, almeno per un po’.
Se siete a Roma, nei prossimi giorni parteciperò a due eventi:
Oggi, venerdì 14, presento la mia nuova casa editrice preferita, Mercurio, in dialogo con uno dei suoi fondatori, Tiziano Cancelli. Ci vediamo alle 19 da Spazio Sette.
Martedì 18 giugno parteciperò a un dibattito sul saggio di Emanuele Bevilacqua Attenzione e potere. Cultura, media e mercato nell’era della distrazioni di massa pubblicato da Luiss Press. Ci vediamo alle ore 19 da Industrie Fluviali.
Ciao e grazie di tutto 👋